D: Com’è nato in te l’interesse per la musica?
Puoi parlarci del tuo periodo di formazione?
R: So di essere un musicista e la mia occupazione
è quella di produrre musica, ma, personalmente, considero i miei progetti
una risposta critica, una parodia della musica. Se penso alla mia formazione,
i miei primi pensieri vanno alla decade di lezioni di violino sprecate che iniziai
a prendere all’età di due anni. Periodo che non rimpiango affatto.
Non ho mai fatto pratica e a tutt’oggi non so leggere uno spartito. Credo
che l’esperienza abbia completamente distrutto il mio interesse nei confronti
della musica formalista e sono assolutamente convinto che il mio gusto musicale
si sia formato attraverso quelle lezioni precoci. Da teenager ho iniziato a
fare dei collages su cassette audio, a volte registravo una cassetta, poi la
suonavo attraverso un paio di cuffie con un microfono collegato ad un auricolare
e lasciando pendere un altro microfono di fronte le casse di uno stereo che
suonava altro. Mi piaceva il suono, collezionavo registrazioni di musica elettronica,
prendevo in prestito dei settantotto giri della collezione pop di mio padre
e producevo suoni fastidiosi sull’organo elettrico di mia madre, ma non
mi sono mai considerato un musicista perché ritenevo di non essere capace
di suonare alcuno strumento in maniera ragionevolmente buona. Il mio interesse
principale era l’arte visiva –dipingere, fare collages, produrre
stampe.
Nell’ottantasei, avevo diciotto anni allora, mi trasferii a New York per
studiare arte, e la mia collezione di musica iniziò a crescere enormemente.
Ascoltavo soprattutto techno-pop ed industrial ambient, ma scoprii anche la
deep house. Vivevo a due isolati da Dance Tracks, un negozio di dischi dove
lavorava Joe Claussel (più tardi divenne comproprietario, prima di fondare
la Spiritual Life Records).Il numero di dischi iniziò ad essere un problema
per i miei coinquilini – uno dei quali era il mio migliore amico al tempo
del liceo e facevo con lui arte collaborativa, e l’altro era il mio partner,
che più tardi sarebbe diventato uno dei membri fondatori dell’Asian
& Pacific Islander Caucus di ACT-UP NY (AIDS Coalition to Unleash Power).Eravamo
tutti impegnati nei campi della assistenza medica delle donne, della consapevolezza
sull’HIV/AIDS e sull’identità sessuale. Mi è sembrato,
quindi, che dovessi fare qualcosa per sfruttare la mia collezione di dischi,
così, nell’ottantanove o giù di lì, acquistai un
mixer e iniziai a fare delle cassette di deep-house che l’API Caucus usava
nella Gay and Lesbian Parade e poi ho iniziato a mettere i dischi ai loro party
di beneficenza.
Ho lavorato come dj in alcuni clubs (brutti) e la cosa non ha mai funzionato
poiché preferivo suonare tracce strumentali sconosciute piuttosto che
dischi major. Nei primi mesi del novantadue, stanco dell’ennesimo licenziamento,
ho iniziato a comporre musica. Facevo delle terribili tracce dance, ma resomi
conto che quella non era la mia strada tornai a fare il dj suonando brani più
essoterici. Poi New York fu invasa dall’ambient e questo suono riusciva
a sintetizzare la mia passione per la musica da ballo e per i rumori.
Alex Gloor e Adam Goldstone misero su una serata chiamata “Electronic
Lounge Machine”, il primo evento completamente ambient a New York, e lì
mi fu data la possibilità di suonare la parte più eclettica della
mia collezione. Mi ricordo che una sera ho messo i dischi mentre Frederick Jorio
(Eight Ball Records) improvvisava su un moog. Tutto questo mi ha fatto diventare
un musicista ambient.
D: Il tuo lavoro come dj ha influenzato il
tuo lavoro con materiali pre-esistenti?
R: Da quando facevo collages su cassetta fino
al mio lavoro come dj, mi è sempre piaciuto utilizzare materiale altrui.
Inoltre non sono interessato ai concetti di Originalità o Artisticità
… lo studio delle arti visive mi ha fatto davvero odiare queste idee.
Il sampling mi è sempre stato molto comodo. E’ una maniera di fare
riferimento a contesti ed a storie, cosa fondamentale in ogni atto comunicativo.
E’anche un modo di commentare le fonti sonore originarie. Non penso ai
miei progetti audio come alla “mia musica ”, ma come ad’una
risposta al lavoro di altri, all’ispirazione o al fastidio che mi hanno
dato …. Usualmente le due cose vanno di pari passo.
D: Il tuo lavoro sembra differire da quello
della maggioranza degli artisti coinvolti nella scena della musica elettronica:
dove altri hanno perfezionato una weltanschauung formalista radicata, in molti
casi, in vari discorsi delle avanguardie del ventesimo secolo (artista invisibile,
musica non narrativa e grafica non figurativa, enfasi sul ruolo della creazione
di procedure piuttosto che sulla produzione musicale classica) tu cerchi un
approccio con l’ascoltatore fondato sulla manifestazione dei legami che
uniscono i suoni e le riflessioni politiche che li hanno prodotti (credo che
l’uso dell’humour giochi una parte rilevante in tale processo).
La continua messa in discussione ed articolazione della materia del tuo lavoro
sembrano essere in contrasto con l’opacità di una grande parte
della scena elettronica.
Qual è l’importanza di lavorare su questi diversi livelli?
R: Sono responsabile di essere stato, a mia
volta, influenzato dai movimenti d’avanguardia.
In particolare dagli scritti dei Costruttivisti , che erano molto critici nei
confronti delle istituzioni artistiche. E’ strano che la maggior parte
dei libri sui costruttivisti siano cataloghi di copertine, fatto che presuppone
l’esistenza di un’enorme quantità di testi e discorsi,e ,
nonostante questo, gli scritti rimangono nascosti ed irreperibili –perlomeno
negli Stati Uniti. L’arte e la musica Americana sono ancora legate al
gesto ed all’individualismo. Quindi, quando si tratta di Costruttivismo,
siamo costretti a “giudicare un libro dalla copertina”. Il problema
del Costruttivismo era, naturalmente, la sua ambizione social-utopica. Quando
si fissano gli occhi sull’obiettivo si perde di vista il qui e l’ora.
Questo era anche il maggiore problema di Marx. Ho provato ad imparare la lezione
e, per questo motivo, faccio in modo che i limiti della mia visione siano parte
integrante delle mie tematiche e mi sento a mio agio con le teorie non-essenzialiste
del post-modernismo. L’humour –satira ed autoironia- sono una parte
di tutto questo. Un modo per aggredire e per fare il buffone.
Credo che la musica sia una forma di comunicazione ed una forza socializzante,
quindi, dovrebbe avere un contenuto ed un messaggio per l’audience. Se
l’artista non fornisce il messaggio – o ne fornisce uno troppo vago
(come “amatevi l’un l’altro”) - il contenuto è
dettato dalla pressione sociale della distribuzione e del mercato. L’industria
musicale ha le sue radici nel marketing dell’identità-non nei contenuti-
quindi è più conveniente, per gli artisti ed i produttori, tenere
la bocca chiusa. Siamo cresciuti nella convinzione che sia quella la normale
maniera di comportarsi dei musicisti e molti musicisti lasciano alla stampa
il compito di cercare significati per poi dire “Si sono fottutamente interessante”
o “No , non c’entra niente con quello che faccio” ma diteci
cosa intendete dire ! Non abbiate paura di andare troppo nello specifico!
C’è da dire che esiste molta gente noiosa nel mondo e non tutti
hanno qualcosa da dire…. E questo si vede nei lavori.
D:C’è qualche artista,del passato o del presente
, cui ti senti vicino?
R: Mi piace davvero George Grosz. Non vado
pazzo per le sue illustrazioni ma amo alcuni dei suoi scritti come “Der
Kunslump”. Credo che le sue critiche sulla società e sul processo
creativo dicano ancora molto. Tra i più recenti ci sono gli Ultrared.
Sono l’unico gruppo , per quanto ne sappia, che si impegna principalmente
nell’azione diretta e tratta il materiale sonoro come secondario –
suono come documento di eventi e non come prodotto finale di un evento.
Anche se le loro composizioni tecnicamente “vivono di vita propria”,
la loro musica evoca sempre un momento passato. Fanno un lavoro sulla correlazione
tra la rappresentazione e l’azione diretta …. E’ molto difficile
rappresentare la complessità di queste azioni in maniera coerente . Sono
amico degli Ultrared e loro rappresentano criticamente l’idealismo sociale
che è presente nel mio cuore ma che rifiuto nel mio lavoro.
D:Qual è il ruolo del caso nel tuo lavoro?
Lavori attivamente per ottenere dei risultati imprevisti o preferisci mantenere
un maggiore controllo su ogni parte/fase delle tue composizioni?
R: Dipende dal progetto. La serie “Inelegant
Implementations” sul cd “Means From An End” si basava sull’accettazione
di distorsioni casuali come precondizioni piuttosto che come aberrazioni, così
da evocare il contesto e l’estetica della produzione software. Molte tracce
sono invece controllate attraverso il processo di editing, decidendo quali files
saranno utilizzati e quali scartati. Questo aspetto di controllo ha delle volte
un rapporto problematico con un certo formalismo d’avanguardia,cosa che
tento di riconoscere apertamente, ma è più strettamente collegato
con le nozioni di decisione e chiarezza – come scegliere delle parole
quando si parla.
D: Quali sono gli aspetti più interessanti
del vivere in Giappone?
R: Il più grande cambiamento è
stato il sentirsi sicuro per la prima volta nella mia vita. E’ davvero
uno shock per me. Mi sono sempre dovuto preoccupare di non essere aggredito
per il fatto di essere Transgender e Queer. Qui questo non è un vero
problema. Ma, naturalmente, nonostante la visibilità dei presentatori
televisivi transgender e queer, anche in Giappone esistono problemi legati a
queste tematiche. Anche se il pericolo di un’aggressione fisica è
molto basso, la gente deve affrontare l’ostracismo e l’isolamento
sociale e, va da se, difficoltà economiche.
D: La tua musica ha a che fare con il
sesso in molte maniere: hai una definizione personale di “musica sexy
”?
R: Credo che ogni buona musica sia sexy.
Vale a dire che mi piacerebbe utilizzarla come colonna sonora per scopare. Ma
c’è un gusto nel fare sesso con musica molto brutta e poco sexy.
Credo di avere un concetto di musica sexy ma non sono sicuro che sia coerente.
Qualche volta voglio Smokey Robinson , qualche volta gli SND… e poi altre
mi piacerebbe ascoltare “Convoy ” di C.W. McCall! Mi piace immaginare
che c’è gente che fa sesso ascoltando la mia musica- molti affermano
di usarla per dormire. Sono contento di non essere un rock’n’roller,
altrimenti potrei prenderlo come un insulto alla mia libido.
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Q: How did you develop an interest in music
making ? Could you please tell something about your formative years as a musician
?
A: I know that by definition I am a Musician
and what I do is make Music, but I personally consider my audio projects a sort
of critical response to, or parody of, Music. So if I think about formative
years as a Musician, my first thought is a decade of wasted violin lessons starting
from the age of two, which I totally despised. I never practiced, and still
can't read musical notation. I think that experience totally destroyed my interest
in formalist music, and I'm convinced my taste in music today is informed by
that early experience. As a teenager, I used to make sound collages on audio
tape, sometimes doing simple channel mixing by creating one tape, then playing
it through headphones with a microphone taped to one earpad, and hanging that
contraption in front of a stereo speaker through which I played a second sound
source. I loved sound, collected electronic records, borrowed from my father's
collection of 78rpm pop records, and made annoying sounds on my mother's electric
organ, but I never thought about being a Musician because I thought that meant
being able to play a conventional instrument with some amount of proficiency.
My main interest was visual art - drawing, collage and print making.
in '86, when I was 18, I moved to New York to study visual art, and my record
collection began growing enormously. It was mostly Techno-Pop and Industrial
Ambient, but I also discovered Deep House.
I lived two blocks from Dance Tracks, a record shop where Joe Claussel worked
at the time (he later became a co-owner for a while before starting Spiritual
Life Records). The amount of records became a nuisance to my two roommates with
whom I shared a small East Village apartment - one was my best friend from school
with whom I did collaborative art, and the other was my partner who later became
a founding member of the Asian & Pacific Islander [API] Caucus of ACT-UP
NY [AIDS Coalition To Unleash Power]. We were all involved in activism around
women's health care, HIV/AIDS awareness, and sexual identity. Eventually I had
to start doing something with my records or get rid of them, so in '89 or so
I bought a mixer and started making Deep House tapes which the API Caucus used
in the Lesbian/Gay Parade, and later DJ'ed at their benefit parties. I gradually
started DJ-ing in clubs, bad clubs, and it never worked out because I always
refused to play major-label records, preferring to spin unknown instrumental
cuts. In early 1992, I decided I had been fired for the last time, and tried
to make some music on my own. I made some terrible dance tracks, but realized
I sucked at it and started to play with more essoteric sounds. Then Ambient
hit New York, and that sort of merged my interest in dance music and miscellaneous
noises.
Alex Gloor and Adam Goldstone started a club event called "Electronic Lounge
Machine," which was the first all-ambient event in New York, and that gave
me a chance to play a more eclectic range of records from my collection. I remember
one night I even got to spin with Frederick Jorio (Eight Ball Records) doing
Moog improvisations. So that's how I became an Ambient Musician.
Q:did your experience as a dj have influenced
you in working with pre--existing sound material ?
A:From making sound collages on cassette tapes
to mixing, I always liked to use other materials. I also was not interested
in concepts of Originality or Artistry... studying visual arts really made me
hate such things. So sampling was very comfortable to me. It was a way of referencing
contexts and histories, which I feel is important to any communicative act.
It was also a way to comment on the original sound sources. I don't think of
my audio projects as "my music", but as a response to the work of
others, how they inspired me or pissed me off... usually all at once.
Q:your work seems to me very different from
the majority of artists involved in the ( for the want of a better term) electronic
music scene : where others have perfected a formalist weltanschauung rooted
,in a large number of cases, in various avant-garde discourses of the XXth century
( invisible artist , non-narrative music and non figurative graphics, focus
on the role of processes creation more than music making ) ,you display a will
to approach the listener by disclosing links between the sounds and the political
reflections that produced them ( and I think that your use of humor plays a
relevant part in this ) . the continuous questioning and articulating the matter
of your work seem in contrast with the opacity of a great part of today’s
electronic music scene . what’s the importance , for you, of working on
those different levels ?
A:Well, I am also guilty of being influenced
by Avant-garde movements. Particularly Constructivist writings, which were very
critical of Art institutions. It's strange that most books about Constructivism
are catalogues of book cover designs, which implies an enormous amount of discourse
and text having been generated, yet the writings themselves remain hidden and
hard to locate - at least in the U.S. You know, American art and music is still
about gesture and Individualism. So when it comes to Constructivism, we are
really forced to "judge the book by its cover." The trouble with Constructivism,
of course, was it's social-utopianist ambitions. Once you set your eyes on the
prize, you become blind to the here and now. That was Marx's ultimate problem,
too. I tried to learn that lesson, and that is why I always try to make my own
limitations of vision a part of my thematics, and why I feel comfortable with
non-essentialist post-Modern discourse. Humor - satire and self-deprecation
- is part of all that. It's a way to tear others down, and also play the buffoon.I
think music is a form of communication, and a socializing force, so it should
have some content or message for its audience. If the Artist doesn't supply
the message - or makes it too vague (such as "love each other") -
then the content is dictated by the social workings of distribution and the
marketplace. The music industry is rooted in marketing identity - not content
- so it's actually most convenient if the Artist or Producer keeps their mouth
shut. And we grow up seeing that is how Musicians behave, and so many Musicians
leave it to magazine writers to excavate meaning, then say, "Yeah, I'm
fucking amazing," or "No, that's not it at all!" But give us
a clue what you mean to say! Don't be afraid to get specific!
Then again, there are a lot of boring people in the world and
not everybody has something to say... so that comes through in our work.
Q:Is there any artist , of past or present
times , that you feel close to ?
A:I really like George Grosz - I'm not crazy
about his illustrations, but I really like his essays like, "Der Kunstlump."
I think his critiques of society and the creative process still say a lot. More
contemporary, and in the audio field, are Ultra-red. They are the only collaborative
I know of which actually invests first and foremost in direct action, and treat
their sound works as secondary - sound as documentation of events, and not the
end-product of events.
Even though their compositions technically "stand on their own," the
music always invokes a moment passed. It's about the act of representation as
it relates to direct action... It's very difficult and unusual to portray such
complexity in a coherent way. I'm close to them as friends, and I also do some
vicarious living through them, as they manage to critically represent the social
idealism which may be in my heart but my work ultimately refuses.
Q:what’s the role of casualty in your
soundwork ? do you actively work to obtain umpredicted results or do you prefer
to maintain a stronger control on every part /phase of your compositions ?
A:It really depends on the project. Something
like the "Inelegant Implementations" series on the "Means From
An End" CD relied on accepting random distortions as preconditions rather
than aberrations, so as to invoke the context and aesthetics of software production.
But many tracks are more tightly controlled through the editing process, deciding
which processed sound files are used or discarded. This aspect of control does
have a sometimes problematic relationship to Avant-garde formalism, which I
try to openly acknowledge, but it is more importantly related to notions of
decisiveness and clarity - such as choosing our words when we speak.
Q:Which are the most interesting aspects of
living in Japan?
A:The biggest change is feeling safe for the
first time in my entire life. It's actually a tremendous shock to my system.
I've always had to worry about physical violence, most notably in response to
my transgenderism or Queerness, and that isn't really a concern here.
But of course, despite the daily visibility of transgendered and Queer TV hosts,
there are very real problems around these issues in Japan. While the threat
of physical violence is lessened, people face social isolation and ostracization,
and of course economic difficulties.
Q:Your music deals with sex in many ways:have
you got a personal idea of “sexy music”?
A:I do think most "good" music is
"sexy." That is to say, I'd like to fuck to it. But there's also something
about having sex to really bad, unsexy music. So I guess I have a personal concept
of "sexy music," but i'm not sure it is anything coherent. Sometimes
I want Smokey Robinson, sometimes I want SND... and then sometimes I want "Convoy"
by C.W. McCall! I'd love to imagine people have sex to my music - I know many
people who say they sleep to it. I'm just glad I'm not a rock'n'roller, or I
might take that as an insult to my libido.
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