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The Desert Island Records di
Terre Thaemlitz
 
- di Daniela Cascella


In Blow-up (Italy), Gennaio/January 2003, n.56. Illustration by Terre.

 
Top Ten Records for an Island
I dischi dell'isola deserta: quelli che porteremmo con noi per puro piacere d'ascolto, i nostri preferiti de sempre. Non i più grandi, non più innovativi e neppure i più importanti, semplicemente i più belli. Ogni mese un musicista ci racconta i dieci album dai quali dovrebbe essere abitata l'isola in cui dovesse naufragare. Se preferite, i dischi del cuore: al quale, notoriamente, non si comanda... (P.S A lato trovate il testo in lingua originale)

 

 
Nel presentare la sua lista dei dieci dischi per l'isola deserta, Terre Thaemlitz chiama subito in causa il Cattivo Gusto come possibile minimo comune denominatore che lega scelte tanto bizzarre quanto sfacciate, dai jingle più improbabili ai suoni più "experimentally incorrect", scelte imprevedibili e defficilmente collegabili ad un musicista legato a ricerche teoriche rigorose. E' vero anche che il tutto lavoro di Thaemlitz è sicuramente connatato da un gioco di maschere e di simulazioni, che gli consente di vuoversi dall'immaginario gay più stereotipato alla messa in ridiolo di certe pose ed atteggiamenti, in un turbine che coinvolge allo stesso modo Hello Kitty e Karl Marx, glam ed austeritá e che gli consente di esibire sfacciatamente questa lista mantenendo sempre incerto il confine tra pura provocazione e puro divertimento.
Daniela Cascella
 

 
Smentita di Cattivo Gusto: L'idea di avere soltanto dieci album da ascoltare per il resto della mia vita dà forma ad una lista abbastanza diversa rispetto a quella che farei se dovessi scegliere i dieci migliori album di tutti i tempi (che probabilmente affronterei come un'opportunità di promuovere artisti o lavori che mi piacciono o che sostengo a livello ideologico). E' anche diverso dal compilare una lista dei migliori album degli artisti qui elencati. E' una questione molto più personale e non ho davvero giustificazioni per le mie scelte. Molti di questi album sono prevedibili o addirittura "regressivi"... in altre parole, riflettono un tipo di musica che ha fatto parte della mia vita prima che io iniziassi ad occuparmi della funzione politica della musica come significante culturale. In conclusione, I PINK FLOYD COMANDANO!

THE MONKEES
Greatest Hits (Arista Records, 1972)
E' stato difficile scegliere tra il loro "Greatest Hits" e "The Birds, The Bees and The Monkees" (Colgems Records, 1968): il secondo è senza dubbio il loro album pi&ugrafe; intrigante perch contiene conzoni che sono prodotte individualmente da ogni membro della band. In particolare, sulla mia piccola isola deserta mi mancherà molto Writing Wrongs de Michael Nesmith (chiunque abbia ascoltato il modo in cui uso il pianoforte in House Music riconoscerà che quella canzone ha avuto un'influenza oscura eppure formidabile sulla mia estetica, davvero!). Ma come ha scritto anche Jimi Tenor di Barry White proprio su queste pagine: "Ci vogliono le greatest hits" e la cosa vale anche per il "Monkee-business" di Tommy Boyce, Bobby Hart e Neil Diamond. She, Pleasant Valley Sunday, (I'm Not Your) Steppin' Stone... favolose. Sono sicuro, un giorno far una cover di quel pezzo che si pone ideologicamente contro la logica binaria, intitolato Shades of Grey (a cui ho fatto riferimento nel mio album "Interstices"). Formato preferito: vinile.

CHICAGO
Group Portrait (Columbia/Sony Music, 1991)
Un box scoppiettante di 4 CD, che mi consente di portare qualche disco in più sull'isola. E' una compilation del suono migliore prodotto dalla "superband" Chicago dal 1969 al 1981 (quando usavano orgogliosamente una sezione di fiati molto "funky"). Molte di queste canzoni sono classici, che rientrano nella categoria dei "non sapevo che fosse un pezzo dei Chicago". Altri sono escursioni stranianti ed esoteriche che ancora non riesco a definire dopo anni di ascolti - una promessa per tutto il tempo che dovr passare sull'isola. E' un mix ricco di soul che spazia dal jazz al soul al funk al rock. Chi mi conosce sa che ho passato giornate intere ad ascoltare in loop Something In This City Changes People.

AKIKO YANO
Piano Nightly (U.S.A.: Nonesuch Records/Warner Music Group, 1996)
In quanto ex moglie di Ryuichi Sakamoto, di recente riconosciuta (ma per lungo tempo allontanata), questo album è la mia inclusione marginale di una artista emersa dal contesto produttivo della Yellow Magic Orchestra. I quindici pezzi per piano e voce di questa versione statunitense di "Piano Nightly" comprendono un assortimento di scelte prese dai suoi album giapponesi più vecchi, "Super Folk Song" (Giappone: Sony Music, 1992) e "Piano Nightly" (Giappone: Sony Music, 1995). Al tempo di queste registrazioni la sua voce era diventata più matura e personale, sfuggendo a stereotipi precedenti come quello di "Kate Bush giapponese". I testi passano da poesie infantili a prose lamentose e si adattano al suo modo di suonare il pianoforte, allo stesso tempo plastico e improvvisato.

Gary Numan
Dance e Tubeway Army, 2 CD (UK: Beggars Banquet Records Ltd., 1993)
Un altro tentativo di portarmi cd in più sull'isola, anche se "Dance" mi interessa di più. Pubblicato nel 1981, presenta performances di altre icone della New Wave dell'epoca come Mick Karn dei Japan e Nash The Slash. Il suono appartiene senza dubbio a "quell'area inglese" per Numan lascia chiaramente la sua impronta con il suo mix di cyber-salsa sintetica e geiti omo-erotici. Di sicuro fu un punto di svolta per la sua cerriera. E' il tipo di album visionario che, da fan di Numan quando ero ragazzino, mi colp perch era cos deiverso ed all'inizio lo rifiutai... per pentirmi più tardi e lodarlo come il suo miglior lavoro. Il secondo disco, "Tubeway Army", è il debutto del gruppo post-punk di Numan ed è un bel contrasto con la sdolcinatezza di "Dance". I cambiamenti camaleontici di stile tra questi due dischi alludono anche ai continui cambiamenti di immagine di Numan che risultarono più tardi nel suo avvicinamento sorprendente e tragico alla politica conservatrice della Thatcher.

CRAYON SHIN-CHAN (KUREYON SHIN-CHAN)
Dame Dame No Uta (Japan: King Record Co., 2000)
E' la canzoncina di un cartone animato molto popolare in Giappone, vagamente paragonabile ai Simpson. Le note di copertina dicono che il pezzo è stato scritto e cantato da Lady Q, gli arrangiamenti di Toshia Mori, nessuno dei quali sembra essere un personaggio conosciuto. Testi a ritmo di mitragliatrice che si ribellano alle incessanti proibizioni dei genitori verso i figli, sopra una bastardizzazione dello Ska con campionamenti velocissimi. Credo che su un'isola deserta potrebbe essere un bel passatempo provare ad imparare a cantare questa canzone impossibile. Il secondo è una "synth-ballad" basata sul "Canone in D Maggiore" di Johann Pachebel, non particolarmente interessante in s ma abbastanza da rievocare ricordi più piacevoli della classica rilettura della stessa musica da parte di Jun Togata negli anni Ottanta, Musi No Onna (Insect Woman) (Giappone: Alfa, 1984). Il terzo pezzo è orribile e mi farà pentire di aver scelto questo CD. Sono incluse anche le versioni per il Karaoke.

VINCA GUARALDI TRIO
A Charlie Brown Christmas (USA: Fantasy Inc., 1965)
L'indimenticabile colonna sonora per Peanuts, il programma televisivo stranamente cupo e low-budget della CBS sui bambini sull'orlo della Crisi Esistenziale. Guaraldi è da tempo uno dei miei preferiti nel campo della "piano lounge", ed il suo catalogo al di fuori dei lavori per i "Peanuts" è impressionante per qualità e quantità. Il mio preferito è "Vince Guaraldi and Bola Sete Live At El Matador" (US: Fantasy, 1966), che stranamente non è mai stato ripubblicato su CD. Ad ogni modo, la soundtrack "A Charlie Brown Christmas" vince per il suo valore sentimentale... anche per una sacrilega puttana atea come me. A differenza di gran parte della musica natalizia, l'enfasi non è legata alla gioia della stagione ma alla sua ipocrisia e superficialità in paragone con il resto dell'anno (espressa molto bene in Christmas Time Is Here). E' da ammirare il fatto che questo special televisivo rimane uno dei pochi usati per introdurre problemi del genere ai bambini prima che inizino ad andare a scuola. Formato preferito: vinile (per il contrasto tra lato A e B).

YELLO
You Gotta Say Yes To Another Excess (USA: Elektra/Asylum Records, 1983)
Essenso cresciuto in America nella "Fascia della Bibbia", conservativa dal punto di vista religioso, in cui bruciare i dischi nelle fiamme sacre continua ad essere il metro di giudizio (la teoria è che un disco non-satanico record sarà risparmiato e non brucerà - ma una caratteristica cos soprannaturale non lo farebbe sembrare in effetti più satanico?), ho avuto sempre dei problemi nel capire in che modo si potesse pensare che qualcosa avesse un suono "malvagio". "Scuro" s, "arrabbiato", "rumoroso", "snervante". Ma non davvero "malvagio". Fin quando le mie povere orecchie innocenti ascoltarono i suoni degli Yello. Lato 1, traccia 1... Non mi ci vollero più di trenta secondi in quella raffica nervosa di sesso, rottami d'auto e promesse non spezzate, prima di doverlo spegnere. Mentre sollevavo la puntina del giradischi sogghignai: "Aha! Allora ecco il suono del Diavolo! Meglio che lo nasconda... Mi piace". Tre giorni dopo tornai al mio stereo e da allora quel disco ricevette la mia devozione eterna. Pensieri scherzosi su temi di perversione, capitalismo e colonialismo. Formato preferito: vinile (non mi abituerei mai alla versione di I Love You della ristampa su CD).

KRAFTWERK
Radioactivity (USA: Capitol Records, 1975)
Un album pieno di doppi singificati: profondità filosofica e frivolezza fenomenologica. Credo che i riferimenti a Madam Curie in Radioactivity siano le uniche rappresentazioni non oggettivizzate sessualmente della Donna all'intenro della "Mensch-Machine". Suoni omogenei e tetri trascinano il confine tra l'amore per la tecnologia ed un raro riconoscimento anti-utopico dei suoi pericoli (un'ironia delicata che and persa nella versione di Radioactivity contenuta in "The Mix" [US: EMI Records, 1991] in cui hanno cambiato il testo da "Radioactivity..." a "Stop radioactivity..."). Radioland mi culla nel sonno in un letto di lacrime. Formato preferito: vinile. Lingua preferita: Inglese.

AA.VV.
Dynamite (USA: K-tel Int'l, 1974)
Sto qui seduto con la mia amata copia di questo disco, che rubai molti decenni fa a mio fratello maggiore, con il suo nome e numero di telefono che decorano la copertina per paura di perderlo...che scemo! La copertina raffigura una cassa di dinamite, con le scritte "ORIGINAL HITS - 20 - ORIGINAL STARS" e "CAUTION: EXPLOSIVE HITS!" ad avvertire del barile di polvere esplosiva contenuto all'interno. Qui troverete Sister Janet Mead in una versione gospel-rock ispiratissima di The Lord's Prayer, Seasons In The Sun di Terry Jacks e Stuck In The Middle With You di Stealers Wheel. Paper Lace, Nazareth, Rick Derringer e Lobo sono tutti qui. Ma, cosa ancora più importante, questo disco mi ha introdotto alla soul music poich conteneva classici come Hollywood Swingin di Kool and the Gang, la meccanica Rock Your Baby di George McCrae, l'organ-ica Be Thankful For What You Got di William De Vaughn e l'orgasmica Love's Theme dei Love Unlimited Orchestra. Forato preferito: vinile (disponibile anche su otto tracce).

PINK FLOYD
Dark Side Of The Moon (US: Harvest Records/Capitol Records, 1973)
Deve essere la versione in vinile con tutti gli stickers e i poster (anche una caverna su un'isola deserta ha bisogno di essere decorata - è vero, sono troppo pigro per costruirmi una capanna). Peccato che sia diventato cos di moda liquidare "I Floyd" come gruppo pesante buono solo per farsi le canne ma comunque, sfortunatamente non sono mai stato molto alla moda. Trovo che questo disco sia splendido dal punto di vista tecnico, compositivo e tematico. O siete già d'accordo, oppure già non state più prestando attenzione, quindi non mi preoccuper di aggiungere altri dettagli... "il tempo è passato, la recensione è finita... pensavo di avere qualcosa in più da dire".

Runners: Depeche Mode, "Black Celebration." Eurythmics, "Touch." Peter Frampton, "Framton Comes Alive." Pat Metheny, "Travels." Stevie Wonder, "Innervisions."

Disclaimer of Bad Taste: The notion of only having 10 albums to listen to for the rest of my life creates a quite different list than if I were asked to list the 10 greatest albums of all time (which I would likely approach as an opportunity to promote artists or works I enjoy or support on an ideological level). It is also sometimes different from asking me to list the best works by the artists included here. It is a far more personal question, and I don't really have justifications for all of my choices. Several of these albums are predictable or even regressive... in other words, they reflect music which had been a part of my life before I became concerned with music's political function as a cultural signifier. In conclusion, PINK FLOYD RULES!

THE MONKEES
Greatest Hits (US: Arista Records, 1972)
It was hard choosing between their "Greatest Hits" and "The Birds, The Bees and The Monkees" (US: Colgems Records, 1968), the latter being undoubtedly the most intriguing Monkees album for its featuring songs individually produced by each member. In particular, Michael Nesmith's Writing Wrongs will be sorely missed on my little island (anyone who has heard my take on piano House Music would recognize this song as an obscure yet formidable influence upon my aesthetic - really!). But as Jimi Tenor recently stated about Barry White in this very column, "You want the greatest hits," and that also goes for the Monkee-business of Tommy Boyce, Bobby Hart and Neil Diamond. She, Pleasant Valley Sunday, (I'm Not Your) Steppin' Stone... amazing. I'm sure some day I will do a cover version of the ideologically anti-binaristic Shades of Grey (beyond that referenced on my album "Interstices"). Preferred format: vinyl.

CHICAGO
Group Portrait (US: Columbia/Sony Music, 1991)
A powerhouse 4-CD box set allowing me to sneak a few extra discs onto the isle. This set compiles the best of Chicago's "superband" sound from 1969 to 1981 (back when they proudly flouted a funky horn section). Many of these songs are over-familiar classics that fall into the, "I didn't know that was by Chicago" category. Others are estranging and esoteric rambles that have yet to grow on me after years of listening - a promise of time which I will surely appreciate on a desert isle. It is a very soulful mix that spans jazz, soul, funk and rock. I've been known to spend days with my stereo looping Something In This City Changes People.

AKIKO YANO
Piano Nightly (US: Nonesuch Records/Warner Music Group, 1996)
As Ryuichi Sakamoto's recently finalized (yet long estranged) ex-wife, this album is my tangential inclusion of an artist who emerged from the Y.M.O. production camp. The 15 piano-and-vocal tracks on this U.S. version of "Piano Nightly" comprise an assortment of 'best picks' taken from her longer Japanese releases, "Super Folk Song" (Japan: Sony Music, 1992) and "Piano Nightly" (Japan: Sony Music, 1995). By the time of these recordings Yano's voice had matured into its own, escaping earlier stereotypes as "the Japanese Kate Bush." The lyrics move from childish poetics to mournful prose, which suits her simultaneously plastic and improvisational piano playing.

GARY NUMAN
"Dance" and "Tubeway Army" 2 CD (UK: Beggars Banquet Records Ltd., 1993)
Another attempt to sneak extra discs onto the island, "Dance" being of greater interest to me. Released in 1981, "Dance" features guest performances by other New Wave icons of the day such as Mick Karn of Japan, and Nash The Slash. The sound is definitely "of that U.K. camp," but it remains distinctively Numan's through his blend of synthetic cyber-salsa and homoerotic whinings. It was certainly a cornerstone in his career. It's the kind of envisioned album that, as a Numan fan in my youth, struck me as so different that I initially had to reject it... only to later repent and praise it as his best work ever. Disc 2, "Tubeway Army," is the debut from Numan's earlier post-punk band of the same name, and provides a nice contrast to the consistent mellowness of "Dance." The chameleon-like changes in style between these discs also alludes to Numan's continual changes of image which later cumulated in his surprising and tragic embrace of conservative Thatcherite politics.

CRAYON SHIN-CHAN (KUREYON SHIN-CHAN)
Dame Dame No Uta (Japan: King Record Co., 2000)
This is the theme song to a popular Japanese cartoon show loosely comparable to "The Simpsons." The liner notes say it is written and performed by Lady Q, and arranged by Toshia Mori, neither of whom seem to be known in their own right. Machine-gun paced lyrics protesting the incessant "No, no!" of parental authority overlay a high-speed sampler-based bastardization of Ska... or something like that. On a desert island, I figure it would be a good waste of time trying to learn and perform the tongue-twisting lyrics. Track two is a synth-ballad based on Johann Pachebel's "Canon in D Major," not particularly interesting in itself, but good enough to evoke more pleasant memories of Jun Togawa's '80s classic vocal reworking of the same music, "Musi No Onna (Insect Woman)" (Japan: Alfa, 1984). Track three is just awful, and will surely make me regret choosing this CD. Karaoke versions included.

VINCE GUARALDI TRIO
A Charlie Brown Christmas (US: Fantasy Inc., 1965)
The unforgettable soundtrack to the strangely broody and low-budget CBS television special about children on the verge of Existential crisis. Guaraldi has long been my favorite exponent of the piano lounge format, and his catalog outside of the "Peanuts" framework is impressive for it's quality and quantity. My personal favorite is, "Vince Guaraldi and Bola Sete Live At El Matador" (US: Fantasy, 1966), which has strangely never been reissued on CD. However, the "Charlie Brown Christmas" soundtrack wins out for it's sentimental value... even for a sacrilegious atheist bitch like myself. Unlike most Christmas music, the emphasis is not on the joy of the season, but its hypocrisy and superficiality in comparison to the rest of the year (very simply put forth in Christmas Time Is Here). You have to admire that this television special remains one of the few accepted formats for introducing such themes to preschoolers. Preferred format: vinyl (for the A-side/B-side split).

YELLO
You Gotta Say Yes To Another Excess (US: Elektra/Asylum Records, 1983)
Growing up in America's religiously conservative Bible Belt, where record burnings continue to put music through the judgement of the sacred flames (the theory is that a non-Satanic record will be spared and not burn - but wouldn't such a supernatural feat actually make it seem more Satanic?), I always had a hard time understanding how anyone could think something sounded "evil." "Dark," sure. "Angry," sure. "Noisy" or "unsettling," sure. But not actually "evil." That is, until my innocent little ears were subjected to the sounds of Yello. Side 1, Track 1... I didn't get more than thirty seconds into it's nervous barrage of sex, car wrecks and yet unbroken promises before having to turn it off. As I lifted the needle I laughed to myself, "Aha! So that's the sound of the Devil! I'd better hide this... it's good." Three days later I returned to my stereo, and this record received my eternal devotion from that point on. Playful takes on themes of perversion, capitalism and colonialism. Preferred format: vinyl (I'll never get used to the version of I Love You on the CD re-issue).

KRAFTWERK
Radioactivity (US: Capitol Records, 1975)
An album filled with double meanings: philosophical depth and phenomenological triviality. I think references to Madam Curie in "Radioactivity" may be the only non-sexually objectified representation of Women existing in the realm of the Mensch-Machine. Smooth and somber sounds tow the line between Kraftwerk's love for technology and a rare anti-utopian admission of it's dangers (the delicate irony of which was lost in the version of "Radioactivity" found on "The Mix" [US: EMI Records, 1991] in which they changed the lyrics from "Radioactivity..." to "Stop radioactivity..."). Radioland can nurse me to sleep on a waterbed filled with tears. Preferred format: vinyl. Preferred language: English.

VARIOUS
Dynamite (US: K-tel Int'l, 1974)
I sit here holding the cherished copy I stole from my older brother many decades ago, his name and telephone number emblazened across the front lest he misplace it... sucker! The outer sleeve depicts a crate of dynamite, "ORIGINAL HITS - 20 - ORIGINAL STARS" and "CAUTION: EXPLOSIVE HITS!" warning you of the audio powder keg within. Here you'll find Sister Janet Mead's inspired gospel-rock version of The Lord's Prayer, Terry Jacks' Seasons In The Sun, and Stealers Wheel's Stuck In The Middle With You. Paper Lace, Nazareth, Rick Derringer and Lobo - they're all here. But more importantly, this record introduced me to soul music through it's inclusion of such classics as Kool and the Gang's Hollywood Swingin, George McCrae's mechanic Rock Your Baby, William De Vaughn's organ-ic Be Thankful For What You Got, and the Love Unlimited Orchestra's orgasmic Love's Theme. Preferred format: vinyl (also available on 8-track).

PINK FLOYD
Dark Side Of The Moon (US: Harvest Records/Capitol Records, 1973)
This has to be the vinyl version with all of the sticker sheets and posters (even a desert island cave needs decorations - that's right, I'm too lazy to build a hut). It's unfortunate that it has become so fashionable to dismiss "The Floyd" as a ponderous pot band... but then again, I've always been unfortunately unfashionable. I find this album technically, compositionally and thematically brilliant. Either you already agree, or you're not paying attention anymore, so I won't bother going into any detail... the time has gone, the review is over... thought I'd something more to say.

Runners up: Depeche Mode, "Black Celebration." Eurythmics, "Touch." Peter Frampton, "Framton Comes Alive." Pat Metheny, "Travels." Stevie Wonder, "Innervisions."